Fotografia

sabato 31 gennaio 2015

Quando lasciai scuola il mio primo lavoro fu con W H Smiths.
Iniziai a formarmi per lavorare nel reparto fotografia, vendendo macchine fotografiche e catalogando foto di persone che andavavo sviluppate.
“Dovrai schedare ogni rullino che entra e ogni cliente dovrà lasciare una sterlina come acconto”, mi disse Angie mostrandomi come si rilasciano gli scontrini.
“Ti mostrerò come controlliamo il magazzino e ti aiuterò con il libro del magazzino” disse dandomi un enorme libro blu.
“Questo è il libro, ed ogni mattina controllerai quale oggetti portare giù dal magazzino nel negozio”.
Ogni mattina usavo iniziare la giornata controllando il libro del magazzino, ma il libro mi dava sempre la sensazione che sarebbe volato fuori dalle mie mani, se non l’avessi tenuto stretto abbastanza!
Sentivo che c’era un energia che veniva da questo libro.
“Senti mai niente da questo libro” chiesi ad Angie.
Angie era una persona divertente ed era molto aperta di mente e non credeva nei fantasmi o niente che avesse a che fare col soprannaturale.
Era curiosa per quello che stavo dicendo “Perché, che senti?”
“Beh, a volte mentre lo tenevo, sembrava così pesante e altre volte sembrava mi stesse per volare fuori dalle mani” mi resi conto quanto sembrava stupido quello che stessi dicendo non appena finì di dirglielo.
“Volare dalle tue mani?” disse. “Hai sentito altro da quando sei qui?” voleva sapere.
“Sì” le dissi della prima volta che andai su in magazzino da solo.
Tutti erano andati a cena e io dovevo andare in magazzino per portare giù un computer per un cliente che mi aspettava in negozio.
Il magazzino era freddo ma non ci feci caso, andai nel reparto dei computer.
Poi sentivo qualcuno piangere allora chiesi ad alta voce se c’era qualcuno.
Ma nessuno mi rispose, allora camminai verso dove sentivo piangere.
Vidi un uomo seduto per terra con le mani sugli occhi e piangeva.
“Ti posso aiutare” è tutto ciò che mi venne in mente da dirgli.
Lui scosse la testa “Non ci posso credere, perché!” disse singhiozzando.
Ero un po’ imbarazzato di questo allora lo lasciai li e presi il computer e scesi nel negozio.
Quando tornai nel negozio il mio direttore mi chiese cosa c’era che non andasse, e gli dissi del vecchio uomo nel magazzino.
“Pensa che qualcuno debba salire e andare a vedere che stia bene? “ gli chiesi.
“No, non lo aiuterò” e si mise a ridere. “Quello è il vecchio capo del magazzino”.
Non riuscivo a capire perché trovava divertente che l’uomo stesse piangendo.
“Tu l’hai visto?” Mi domandò incuriosito.
“Si, l’ho sentito piangere, così andai da lui, ma voleva esser lasciato solo” dissi.
Il mio capo reparto si tolse gli occhiali “Tu gli hai parlato?”.
“Si, voleva sapere perché?” gli dissi.
“Strano, perché nessuno l’aveva mai visto, lo sentivano solo piangere” lui mi disse.
Ero preoccupato per quest’uomo tutto solo seduto nel magazzino “ma non dovrebbe andarci qualcuno e assicurarsi che stia bene?” dissi sperando che il mio capo reparto ci andasse.
Disse no con la testa “No, no lo aiuterò”, disse nervosamente “la persona che hai appena visto è il fantasma del negozio” e mi raccontò la storia di quest’uomo.
“La gente diceva che dopo un anno che lui lavorava qui la moglie lo lasciò, soffrì di un crollo di nervi” gli venne la pelle d’oca solo pensandoci “Lui morì e da allora è nel magazzino perché quello era l’ultimo posto dove fu felice”.
Angie sentì di cosa stavamo parlando e incuriosita chiese “Com’è fatto?”
Iniziai a descriverlo: “Aveva i capelli scuri e gli occhiali ed aveva quarant’anni circa” era tutto ciò che potessi ricordarmi.
“Ecco perché andiamo nel magazzino in due, perché abbiamo tutti paura” mi disse “ma la gente dice che il fantasma nel magazzino avesse tra i cinquanta e i sessanta!”
“Ma credo sia meglio che tu non dica a nessuno di questo, rischieresti di perdere il posto qui” mi avvisò. “Il direttore non crede nel soprannaturale perché è contro la sua religione”.
Quella notte pensai a quest’uomo nel magazzino e perché stava piangendo.
Credo che avesse bisogno di sapere perché la moglie lo lasciò e forse e quando saprà il perché, forse riposerà in pace.
Avevo bisogno d’aiuto dalla chiesa spirituale sulla via Lee High, per vedere cosa avessero da dire su questa storia.
In chiesa vidi il mio vecchio amico Henry, erano passati molti anni da quando andai nella sua chiesa.
Il momento in cui mesi piede dentro, Henry mi riconobbe e venne da me “Allora sei tornato?”, mi strinse la mano, “Cosa posso fare per te” mi chiese portandomi verso il suo ufficio.
Gli raccontai la storia e che questo spirito aveva il bisogno di andarsene di là, ma era bloccato nel magazzino del W H Smiths.
Henry mi spiegò che lo spirito che vidi doveva esser qualcuno che lavorò lì.
Il negozio era vecchio e poteva essere qualcuno dal passato “Se lui volesse sapere il perché, devi cercare di capire cosa intendesse con il Perché”.
Ero un po’ confuso “ma il mio datore di lavoro dice perché sua moglie lo ha lasciato e morì a causa di un crollo di nervi” dissi ad Henry.
Ma Henry sentiva altro “devi tornarci e parlarci e chiedigli cosa vuole tu faccia per lui”.
Bevemmo un tè insieme “perché io?” chiesi ad Henry.
Pensò per un po’ “Perché sei aperto al mondo spirituale, l’ho sempre saputo” si riferiva a quando andai lì per la prima volta a fare la formazione “tu sei collegato a quest’uomo in qualche modo ed ha bisogno del tuo aiuto”.

Dopo un paio di settimane ebbi il secondo incontro con quest’angelo.
Ero nel magazzino con Angie e stavamo contando i pezzi quando sentii qualcuno piangere.
All’inizio finsi che non sentivo niente perché non volevo spaventare Angie.
Ma dopo 10 minuti Angie sbatté giù il libro del magazzino “Beh” disse nervosamente “Non hai intenzione di fare niente”.
Io pensai che intendesse dire che non stavo lavorando duro abbastanza.
“Fare cosa?” le chiesi.
Guardò nella direzione da dove venivano i pianti “è qui non è vero?”.
Raccontai ad Angie della mia visita alla chiesa spirituale e cosa Henry mi disse.
“Allora vai e aiutalo, ma io rimango qui” aveva paura “tengo la porta aperta nell’evenienza..”.
Mi feci coraggio ed andai nel reparto dove sentivo piangere.
Ma questa volta era diverso, non potevo vederlo ma sentivo la sua presenza.
Il reparto era freddo e percepivo la sua tristezza.
“Chi sei?” chiesi “Perché sei qui?” avevo bisogno di sapere.
Smise di piangere e poi una scatola cadde da uno scaffale e si ruppe a terra con un fragoroso bang.
Con questo bang, sia Angie che io corremmo fuori dal magazzino, non aspettammo l’ascensore, ci incastrammo entrambi nella porta cercando di uscire allo stesso momento.
Corremmo giù per le scale “Che cosa è stato?” disse senza fiato.
Ero imbarazzato perché corsi via dall’angelo, perché aveva spaventato anche me.
“Qualcosa è caduto da uno scaffale”, le dissi “Niente a che vedere con l’uomo nel magazzino”.
La sua paura si trasformò in una risata “Non mi sono mai mossa così velocemente in vita mia”.
Risi con lei “Si, sono un bravo sensitivo, ma ho avuto paura anch'io”.
La porta si aprì di scatto ed entrambi urlammo.
Entrò il direttore del magazzino “Cosa!” ci urlò di risposta.
“Niente” dissi ridimensionandomi.
“Eravamo solo innervositi perché siamo nel magazzino”, disse Angie.
Aprì la porta e puntò la via verso il negozio “bene, siete entrambi desiderati nel negozio” disse
“sono certo che l’uomo nel magazzino può stare senza voi che lo spaventate!” scherzò.

Ogni volta che andavo nel magazzino parlavo con l’angelo, non potevo vederlo ma sentivo che mi stava ascoltando.
Io gli dissi che lui era nel negozio e che la gente aveva paura di lui.
Ebbi il coraggio di stare dove si sentivano i pianti, per vedere quali informazioni potevo raccogliere da quest’angelo.
Lentamente entrai in contatto con le sue vibrazioni e sentii che vedevo attraverso i suoi occhi, vedevo me stesso seduto ad un tavolo e che a tavola c’era la mia cena.
Sentivo una donna parlare con me chiedendomi della mia giornata a lavoro.
Poi sentivo un dolore nel torace e misi la mano sul cuore e caddi a terra.
Quando guardai su, vedevo questa donna e due bambini che urlavano mentre mi guardavano.
“Perché?” lo sentii chiedere.
Aprii i miei occhi e mi innervosii perchè quest’uomo non era quello del magazzino! Era troppo giovane ed aveva una famiglia. Quella notte tornai a trovare Henry alla chiesa spirituale.
Henry e altri due chiaroveggenti ascoltarono la mia storia e decisero che avremmo meditato insieme e vedere cosa potevamo cogliere e capire di quest’uomo.
“Tutto ciò che devi fare è sentire gli stessi sentimenti che provavi quando eri sul posto e da dove venivano i pianti” mi disse.
Ci sedemmo in cerchio e spegnemmo la luce principale, accendemmo la luce blu per aiutarci a meditare.
“Craig dove sei” Henry mi chiese.
Mi guardai attorno “Sono seduto a tavola aspettando di cenare” gli dissi.
“Chi è nella stanza con te?” disse con voce calma “C’è nessuno li con te”.
Potevo sentire la voce di una donna “Si c’è una donna e due bambini”.
Sentivo che stavo lievitando fuori dal corpo e galleggiavo sopra la testa dell’angelo mentre si sedeva per cenare.
Sentii un forte dolore al petto di nuovo, misi la mano e mi tenni il cuore.
“Che c’è che non va?” Henry era preoccupato “Cosa vedi?”.
“Sto soffrendo, è il cuore, il mio cuore!” provavo difficoltà nel respirare.
Henry si preoccupò davvero “Craig devi tornare, torna tra noi” disse “Vai via da dove sei e torna”.
“Perché?” dissi puntando alla donna e i due bambini “perché stanno piangendo?”
Iniziai a piangere con loro “Che c’è che non va?” chiesi.
Henry iniziò a portarmi fuori dal trance “Sentiti lentamente ritornare nel tuo corpo, dalla punta dei piedi e fin su alla testa” la sua voce era soffice e gentile “e quando sei pronto apri gli occhi”.
Dopo dieci minuti aprii i miei occhi e Henry mi diede un bicchiere d’acqua da bere “bevi questo, ti aiuterà a calmarti” iniziammo poi a parlare di ciò che avevo visto.
“Sentivamo che quest’angelo era morto, ma non era passato oltre” Henry disse al gruppo “la donna e i due bambini che Craig descrive potrebbero essere la sua famiglia” e leggeva tra i suoi fogli che aveva scritto mentre ero in trance.
“Cosa sappiamo ora è che è morto d’infarto e che è sposato ed ha due bambini”.
Girò la pagina “ma il mistero è perché è seduto nel magazzino di un negozio e non a casa sua”.
Uno dei chiaroveggenti pensò che c’era una connessione “Forse ha lavorato al negozio” disse.
“No” sentivo che aveva torto.
“Quand’è la prima volta che l’hai visto o sentito?” chiese Henry.
Pensai un attimo “Circa tre o quattro mesi fa” dissi loro.
“Allora è qualcuno nuovo” disse una chiaroveggente facendo un profondo sospiro “Sento che è collegato a te perché conosci qualcuno della sua famiglia”.
Ma la gente che ho visto nella mia visione non le avevo mai viste prima “No, non li ho mai visti prima e neanche l’uomo angelo”.
Ma non mi ascoltò “faccio questo lavoro da anni” lei voleva che io sapessi “questo spirito è confuso e tu dovrai guidarlo verso la luce”.
“La luce, che luce?” ora ero io la persona confusa.
Mi spiegò come se fossi uno stupido “Quando morì, il suo amore per la sua famiglia era molto forte e rimase con loro e non è andato nella luce” guardò il mio viso confuso “La luce è ciò che vedi quando passi oltre, devi andare nella luce per essere in pace”.
“Ma come faccio a farlo andare nella luce” chiesi a loro.
Henry continuò il discorso “Dicendogli di cercarla”.
La mattina seguente a lavoro dissi ad Angie cosa era successo alla chiesa spirituale e cosa mi avevano detto di fare.
“Devo andare nel magazzino senza che nessuno sappia dove sono” le dissi.
Lei mi coprì mentre sono sgattaiolato dentro il magazzino “Non ci mettere troppo perché qualcuno mi chiederà dove sei” mi disse incrociando le dita per buona fortuna.
Andai direttamente nella sezione dove sentii l’ultima volta l’angelo piangere, “Se puoi sentirmi devi cercare una luce e camminare verso essa” ho detto ad alta voce.
La stanza divenne fredda “la tua famiglia sta bene, non devi preoccuparti per loro” pensai che questo potesse calmarlo un po’.
Potevo sentire qualcuno dietro di me “Dammi un segno” dissi senza girarmi.
Sentii un colpo “bang” arrivare da dietro di me, ero troppo spaventato per girarmi “se quello era un sì e vedi la luce fai un secondo colpo” dissi coraggiosamente.
Poi vennero tre colpi” Quelli erano tre, cosa vuoi dirmi?”.
Poi sentii una voce dirmi “Tre colpi vogliono dire torna nel negozio e smettila con queste cose paurose”.
Mi girai e vidi il mio capo reparto lì, in piedi con un gran sorriso sulla faccia: “t’aspettavi qualcun altro?”
“No” dissi imbarazzato.
Puntò la mano verso la porta “Allora vai e lavora un po'”.
Quando tornai nel negozio, Angie disse “mi dispiace, è venuto a cercarti dopo 5 minuti che te ne eri andato” mi diede un mucchio di foto da catalogare “Andiamo a finire di catalogare queste foto” ci mettemmo un’ora finire di catalogare le foto”.
Angie si guardò attorno e mi disse: “forse potremmo riprovare fra dieci minuti”.
Scossi la testa e dissi di “No, non voglio perdere il mio lavoro” le dissi un po’ deluso, perché non aveva funzionato la prima volta.
“Gli ho chiesto di darmi un segno, e percepivo che mi aveva sentito e che stava per farlo” provai a non farmi trasportare dalla storia “Il direttore deve averlo spaventato e allontanato”,  Angie era d’accordo con me e continuammo a lavorare.
Quel pomeriggio tornai dalla pausa pranzo e vidi Angie parlare con un cliente “Craig hai registrato tu le foto della signora, perché non riesco a trovarle”
e sorrise alla signora “Lei ricorda che eri tu ad averla servita, ma ha perso la sua ricevuta con il numero di registrazione”.
Era vero, avevo io registrato le sue foto, ricordavo il suo dolce viso “Si ricordo la signora ma era un po’ di tempo fa, credo”.
La signora annuì “Si, un paio di mesi fa” poi si preoccupò quando vedeva che cercavo le foto, frugando in giro.
 “Spero che non le hai perse” iniziò ad innervosirsi “Perché erano di mio figlio”.
Angie la rassicurò “No, le troveremo” disse alla donna “riceviamo così tante foto ogni giorno, perciò dopo un mese... si può immaginare quante ne abbiamo da controllare”.
Mentre cercavo, iniziai a ricordarmi che quel giorno vidi l’angelo subito dopo aver servito questa signora.
Trovai le sue foto “eccole” dissi dandole le foto.
Lei sorrise “Avevo così tanta paura che fossero perse” aprì la busta e “ecco mio figlio prima che morisse!”.
Mise una delle foto davanti ad Angie e me e puntandola disse: “aveva solo trentotto anni”
Non potevo credere ai miei occhi, questo era lo stesso uomo che vidi nel magazzino e questo era il segno che mi avrebbe dato.
Il segno era sua madre che si dimenticava la ricevuta per le foto.
“Mi dispiace così tanto” disse Angie tenendo le mani della mamma.
“Di cosa è morto?” chiesi io.
Fece un lungo respiro e ci disse “ha avuto un attacco di cuore”.
Diedi un calcio ad Angie da dietro il bancone, prima che dicesse qualcosa della mia esperienza con l’angelo nel magazzino.
“Aveva bambini?” volli sapere.
“Si, due” ma si stava innervosendo a parlare della sua morte.
Quando se ne andò Angie volle sapere perché non dissi alla signora che avevo visto suo figlio.
“Forse l’avrebbe aiutata il sapere che tu l’hai visto”. Disse Angie.
“No, si sarebbe innervosita di più nel sapere che lui stava piangendo ed era infelice” le dissi.
Tutto il giorno pensammo a cosa potevamo fare per aiutare questa signora e suo figlio che era nel nostro magazzino.
“Cosa che non capisco è perché lui è nel magazzino? Quando non ha mai lavorato qui” Angie era confusa su questo.
La risposta era semplice, era collegato a me perché ero entrato in contatto con sua madre minuti prima, quando lei ci consegnò le sue foto.
Noi eravamo quelli confusi pensando che lui fosse l’uomo vecchio del magazzino.
“Allora mi stai dicendo che ci sono due fantasmi nel magazzino!” A Angie vennero i brividi.
La madre dell’angelo iniziò a venire ogni giorno al negozio ed entrammo in amicizia con lei.
Ogni giorno voleva parlare di suo figlio e come la famiglia stava affrontando il fatto che lui non ci fosse più.
Poi ebbi un idea, dissi ad Angie di portarla alla chiesa spirituale per vedere se potessero aiutarla.
Diedi a Angie i nomi dei due sensitivi che avevo conosciuto.
I sensitivi erano in grado di entrare in contatto con suo figlio ed aiutarlo ad entrare nella luce.
Sua madre andò spesso nella chiesa e questo l’aiutò a capire che gli angeli non ci lasciano mai e sono sempre attorno a noi quando ne abbiamo bisogno.
Invece, l’uomo vecchio del magazzino, non crebbi mai nella sua storia perché non avevo mai percepito nulla mentre ero nel magazzino.
Angie venne a lavoro un giorno molto triste e infastidita “Che c’è che non va?” le chiesi, visto che era in ritardo di mezz’ora e il proprietario era su tutte le furie perché lei non si era presentata puntuale.
Ma non voleva parlare del suo problema con nessuno.
Allora iniziai a controllare la merce di cui avevamo bisogno, da portare in negozio.
Il libro blu iniziò a diventare davvero pesante e trovavo difficile tenerlo.
“C’è qualcosa di strano in questo libro” dissi ad Angie.
Ma Angie non mi stava dando importanza affatto, mentre le parlavo “ha una propria energia” dissi tenendolo stretto.
Ma era troppo tardi, non riuscivo a tenerlo più, mentre volava fuori dalle mie mani  cadde sul pavimento del negozio.
“Craig ma che fai!” Urlò Angie.
Non potevo spiegare cosa fosse successo “Non lo so” le dissi “hai visto cosa è successo” avevo bisogno di sapere che non era tutta una mia immaginazione.
Altri colleghi videro il libro volare per terra e la voce arrivò presto al direttore.
Il direttore mi chiamò nel suo ufficio e mi disse che non voleva più di queste cose insensate nel negozio.
“Se non smetti di parlare di fantasmi e spaventare gli altri colleghi allora dovrai andartene”.
Mi disse anche che per il seguente mese avrei dovuto lavorare al piano dei libri perché avevano poco personale.
Il mio problema iniziò da subito, prima il computer si ruppe e diedero la colpa a me perché fui l’ultimo a toccarlo.
Jean la direttrice del piano mi disse “Devi solo servire i clienti per dirgli dove sono i libri che cercano”.
Non era divertente, odiavo lavorare sul piano dei libri, era così noioso.
L’unica cosa buona era che andavo in pausa per il tè e per il pranzo con Angie, alla stessa ora.
Scoprii che Angie stava avendo problemi con suo marito e per un po’ lei sentiva che lui stesse vedendo un’altra donna.
“Cosa mi puoi dire di questo” voleva che io le facessi una lettura da sensitivo.
Mi concentrai sulla sua domanda “Bene, vedo una donna a cui lui è molto vicino, ma potrebbero essere solo amici” vedevo che Angie stava diventando ansiosa “Devi stare attenta ad un’amica che indossa jeans stretti e ha i capelli rossi”.
“L’unica amica che ho con capelli rossi è Tina e indossa jeans stretti” pensò per un attimo “ma è più vecchia di mio marito, non può essere lei!”
Pensai al nome Tina e ancora riuscivo a vedere questa persona vicina a suo marito.
“No, siamo migliori amiche e siamo sempre insieme” disse incredula.
“Devi aprire gli occhi verso lei” furono le ultime parole che dissi su questo fatto.
Il giorno dopo Angie chiama e si da' malata, e si prese due settimane.
Davo il mio meglio sul piano dei libri, ma le cose non stavano funzionando molto bene per me.
Libri cadevano dagli scaffali e volavano a terra e quando toccavo la cassa per prendere i soldi di qualche cliente, la cassa si spegneva o dava scosse elettriche!
“Craig” disse Jean provando a non innervosirmi “credo sia meglio per tutti noi se vieni rimesso nel piano terra”.
Ma era troppo tardi, il manager mi aveva dato il preavviso di licenziamento e dovevo andarmene a fine mese.
Non era perché non lavoravo o non andassi d’accordo con lo staff, era a causa delle cose bizzarre che mi accadevano attorno nel negozio.
Dopo due anni di lavoro al WH Smiths, mi fu chiesto di andarmene per "cause innaturali".
Andai a casa di Angie per salutarla “che c’è che non va” mi disse aprendo la porta.
“Ho perso il lavoro”, le dissi tenendo in mano una bottiglia di vino.
“Beh se ti fa sentire meglio” aprì la bottiglia e ne versò in due bicchieri “ho perso mio marito grazie alla poco di buono Tina” brindammo.
“Avrei dovuto sentire il tuo consiglio, mi avevi detto di non fidarmi di lei, ma non ti ascoltai” sorseggiò il vino “Pensi che avrei potuto cambiare le cose se li avessi affrontati?”
Scossi la testa e dissi di no “No, stava accadendo e stava pensando di lasciarti per lei, ho visto il futuro. Ci possiamo preparare ma non possiamo cambiare le cose che devono accadere!”
Angie continuò a lavorare e andò avanti con la vita.
Più in là conobbe qualcun altro e si sistemò in questa nuova stabile relazione ed era felice.

Mia madre non era molto felice per me, perché avevo perso il posto alla WH Smiths.
Non era il fatto che avessi perso il posto, ma le ragioni per cui lo persi “Cause innaturali”.
“Perché non sei stato semplicemente zitto invece che dire alle persone ciò che fai!” Urlò mia madre.
Aveva ragione “Provi ad aiutare le persone e tu sei sempre quello che ci perde”.
Andai su in camera mia e chiusi la porta, mi stesi sul letto e chiusi gli occhi.
Questa era solo un’avventura finita e sapevo che un’altra stava per iniziare.

Craig Warwick

giovedì 22 gennaio 2015

Sensitivo craig warwick






Caterina balivo & craig warwick

Craig Warwick.  L'uomo che parla con gli angeli
CQuante avventure ho vissuto accanto a Caterina! Insieme siamo stati testimoni di svariate manifestazioni, anche bizzarre o da brividi, degli angeli. Quello che mi colpisce di lei è che, a differenza di molte altre persone, si è avvicinata al mio mondo col candore e con l'ingenuità di una bambina.
Ha avuto subito fiducia in me: non è una credulona, ma una persona dal cuore aperto e pronto ad accogliere la bontà.
Così, quando siamo insieme, non sento di avere accanto semplicemente una collega di lavoro con cui vado molto d'accordo. Lei per me è un'amica. Di lei posso fidarmi e lei sa di poter riporre la sua fiducia in me.
Ci sono persone che mi conoscono da molto più tempo, ma mi rendo conto che con Caterina mi sento completamente me stesso e non ho paura a raccontare la mia storia così com'è.
So che mi capisce e non mi giudica,
Ed è lei che mi ha convinto che la mia vita meritava di essere messa su carta.


Craig Warwick.





Craig warwick gli angeli

Gli angeli a scuola

Una volta scrissi un tema in cui parlavo di una donna che viveva un momento difficile col marito perché l’uomo si era comportato in un modo che l’aveva ferita. Entravo piuttosto nel dettaglio e quando l’insegnante lesse il tema non ebbe dubbi: sapeva che stavo parlando di lei e voleva scoprire chi aveva fatto girare quelle voci. Subito chiamò mio padre per capire come fosse possibile che un bambino come me sapesse i particolari più intimi della sua vita privata. Ovviamente dirle la verità e spiegarle che era tutto merito (o colpa) degli angeli non era nemmeno da prendere in considerazione. Ci avrei anche potuto provare, ma l’avrebbe presa come la solita scusa di Craig, il bambino stravagante che crede di parlare con le creature ultraterrene. Mi consideravano tutti un visionario, all’epoca, quindi dovetti accettare in silenzio la ramanzina dell’insegnante e di papà. 
L'uomo che parla con gli angeli
Un’altra volta, invece, avevo disegnato una donna molto bella, con gli occhi azzurri e i capelli ricci. Quando feci vedere il ritratto all’insegnante, lui si spaventò tantissimo. Gli venne la pelle d’oca e mi guardò terrorizzato: quella che avevo disegnato era la sua mamma, che era morta tre anni prima. La sua reazione mi fece stare molto male perché io pensavo di avergli fatto un bel regalo. Invece, come al solito, avevo allontanato un’altra persona. Capitava spesso, se c’era da fare un tema o scrivere una storia, che quello che scrivevo riguardasse l’insegnante. Era, cioè, un fatto privato della sua vita che gli angeli mi avevano raccontato. Io non capivo che le mie rivelazioni avrebbero potuto turbare il prossimo; ero comunque un bambino e non sapevo che quelle intrusioni inspiegabili nella vita privata degli altri mi avrebbero messo nei guai. 

La mia vita con gli angeli

La mia vita con gli angeli

L'uomo che parla con gli angeli
Parte I
La mia vita con gli angeli.
Era un tranquillo pomeriggio di primavera.
Il tempo era stato clemente quel giorno; nonostante ci trovassimo a Londra, era una bella giornata di sole, senza pioggia o nuvole minacciose. Avevo circa sei anni e me ne stavo seduto sullo scalino davanti alla porta di casa a giocare per conto mio. Il resto della famiglia era dentro, occupato con il solito trambusto quotidiano. D’altra parte siamo in undici! La mamma era in cucina insieme alle mie sorelle, le vedevo dalla finestra che dava sul cortile principale mentre preparavano un dolce. Sembrava tutto a posto, niente poteva turbare quella serenità. Improvvisamente quel manto di tranquillità venne strappato via. Sentii mia sorella Susan, la più grande tra le donne di casa, gridare disperata. Subito guardai dentro casa e vidi mia madre, Donna e Amanda continuare impassibili con le loro attività, come se non avessero sentito nulla. Ma non era finita lì: dopo pochi secondi, sentii mia sorella urlare di nuovo. Spaventatissimo, mi precipitai fuori dal nostro giardino, dietro la staccionata, da dove mi sembrava provenisse la sua voce.
Non si vedeva nessuno e sembrava che non fosse successo niente. C’erano solo i due bidoni della spazzatura all’angolo della strada. Siccome non riuscivo a spiegarmi cosa fosse accaduto, decisi di riempire gli spazi vuoti con l’immaginazione. Entrai in casa urlando: «Qualcuno ha portato via Susan!». Ovviamente le mie parole gettarono tutta la casa nel panico. Mia madre poggiò il vassoio con la torta che aveva appena finito di preparare e mi chiese: «Cosa stai dicendo, Craig? Cos’hai visto?». «Era laggiù, l’ho sentita urlare, era Susan!» ansimai indi- cando il punto da cui, secondo me, Susan aveva chiesto aiuto. Ma lì c’erano soltanto i sacchi della spazzatura. «Susan ha chiesto aiuto, stava gridando, forse si è fatta male!» dissi mentre mi scendevano le lacrime. Era frustrante: sapevo che c’era qualcosa di strano e inquietante, ma non sapevo spiegare cosa, né agli altri né a me stesso.
 Mentre si guardava attorno per capire cosa fosse successo, mia madre si rasserenò un po’ e disse: «Non può essere Susan, è troppo presto! A quest’ora è ancora al lavoro». L’allarme sembrava già rientrato, almeno per gli altri, ma per sicurezza la mamma chiamò Susan al lavoro per sapere se era ancora lì e se andava tutto bene. Capii dalla conversazione che a Susan non era successo nulla, ma non riuscivo a calmarmi: ero sicuro di averla sentita urlare. Un po’ turbata, mia madre mi chiamò dentro: «Craig, lo sai che hai fatto spaventare tutti? Questi giochi non sono divertenti, non farli mai più, altrimenti la mamma si arrabbia».

Io, però, non stavo scherzando. E mi sentivo tremendamente in colpa.
Il giorno dopo, alla stessa ora, mi trovavo di nuovo fuori dalla porta di casa. Avevo dimenticato quello che era successo il giorno prima: i bambini, fortunatamente per loro, vivono nel presente e non danno molta importanza al passato. Ma le cose per me funzionavano diversamente, avrei dovuto capirlo subito. All’improvviso sentii un urlo, esattamente com’era già successo.
Era Susan, di nuovo! Spaventato, corsi verso i bidoni della spazzatura e vidi mia sorella che si teneva tra le mani il piede destro completamente macchiato di sangue. «Corri a chiamare aiuto!» mi disse piangendo. Entrai in casa e, al culmine dell’agitazione, gridai: «Susan è fuori, si è fatta male, è piena di sangue! Stavolta l’ho vista davvero!». Tutti corsero fuori ma, arrivati davanti ai bidoni della spazzatura, non videro nulla. Susan non c’era, proprio come il giorno prima. Stavolta la mamma non era semplicemente turbata: era proprio infuriata con me per lo spavento che le avevo causato. Visto che la sua ramanzina del giorno prima non era stata sufficiente, decise di raccontare a papà quello che era successo e lui mi mise in punizione per una settimana.
 Accettai il castigo, sapevo anche di non poter fare altrimenti, ma in cuor mio sapevo anche di non aver detto una bugia. Avevo paura per Susan, era la mia sorella preferita. Quando tornò dal lavoro, quella sera, la abbracciai forte perché non volevo che le succedesse qualcosa di brutto.
L’urlo misterioso non aveva finito di tormentarmi, però. Mi ricordo chiaramente che era domenica perché mamma stava cucinando la mia cena preferita della settimana, il pollo arrosto. Tutto era tranquillo e sereno intorno a me. Mio padre lavava la macchina, i miei fratelli giocavano a pallone, la mia sorellina Donna correva col nostro cane. Susan era in casa e aiutava in cucina. Io ero seduto, come sempre, sul gradino davanti alla porta di casa quando Susan mi passò davanti con un sacco dell’immondizia. Mi accorsi subito che indossava il vestito che le avevo visto addosso nella mia visione, quando gridava per chiedere aiuto. Mi alzai per andare ad aiutarla a buttare la spazzatura ma, prima ancora che potessi raggiungerla, Susan urlò. E questa volta la sentirono tutti. L’urlo c’era stato, adesso ne ero certo, era reale. In un attimo mio padre saltò la staccionata e arrivò da lei.
Dietro di lui accorse tutta la famiglia, passando dal marciapiede che circondava il cortile. Solo io rimasi immobile dov’ero, in mezzo al giardino. Volevo aiutarla, volevo accertarmi che stesse bene, ma ero paralizzato dalla paura. Susan era lì, scioccata e in lacrime, che si teneva il piede sanguinante. Io vedevo la scena da dietro la staccionata e riuscivo a capire solo in parte ciò che stava succedendo. Mio padre, sconvolto, le chiese: «Che cosa ti è successo? Fammi vedere il piede!».
Susan, tra le lacrime e le smorfie di dolore, provò a spiegare: «Stavo buttando la spazzatura, ma quando ho aperto il bidone si è rotta una bottiglia e devo aver messo il piede sopra una scheggia». Mia madre era nel panico, ma papà manteneva la calma e le disse: «Corri, vai a chiamare un’ambulanza, dobbiamo portarla in ospedale». Stava perdendo troppo sangue e la scheggia poteva essere entrata in profondità. L’ambulanza arrivò in pochi minuti, insieme ai vicini, allarmati da tutto quel trambusto. Mia sorella venne portata al pronto soccorso, dove le tolsero il pezzo di vetro e le misero svariati punti. Ancora oggi Susan ha una cicatrice sul piede.
Quel segno sulla sua pelle è il ricordo di questa prima visione. È una memoria traumatica. Ma quando Susan tornò dall’ospedale, i miei non si arrabbiarono con me. Erano semplicemente sconvolti. Com’era possibile che un bambino di sei anni fosse riuscito a prevedere un fatto del genere? Non sapevano come affrontare la cosa e, per limitare i problemi almeno temporaneamente, mi dissero che ogni volta che avessi avuto una visione ne avrei dovuto parlare con loro prima che con chiunque altro. Credevano che in quel modo mi avrebbero aiutato a capire cosa stavo vedendo. Ripensandoci ora, nella loro testa dovevano immaginarmi come un bambino con qualche turba psicologica.
Voi cosa avreste pensato al posto di mia madre e di mio padre?
Craig Warwick

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8 commenti:

  1. Avrei pensato che il mio bambino aveva un dono ,ma che non sempre questo dono avrebbe dato gioia e conforto sia a lui che agli altri,avrei pregato per lui,perchè il Signore potesse dargli sempre la forza di affrontare tutto ciò,e l'umiltà di trattare questo dono con rispetto e amore.
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  2. Sarei rimasta turbata ,!
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  3. che eri un bambino speciale...e non è facile.
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  4. Cercare di capire un bambino non e' da tutti
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  5. solo pochi capirebbero che eri un bambino speciale......con una sensibilità che pochi sanno distinguere in questo mondo reale.........
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  6. Che avresti bisogno di essere seguito con attenzione, tenerezza , e che si doveva dare credito alle tue impressioni, senza drammi, ossia un situazione che esige molto dai genitori che devono acettare che tu avevi già sviluppati i doni che in futuro tutti ne avranno...
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  7. Credo che la prima reazione sia quella dello stupore. Però se mai avessi dei figli con questo dono non mi sorprenderei. A me capita di fare sogni o di avere sensazioni così forti anche senza una ragione apparente ma che poi si rivelano vere.
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Io lo sapevo, e lui l'assassino



“Io lo sapevo, è lui l’assassino!”

L'uomo che parla con gli angeli
Chissà che vita condurrebbe oggi mia sorella Amanda se fossi stato zitto, come tutti mi avevano detto di fare tanti anni fa...
In casa c’era fermento. Amanda, la più vivace tra le mie sorelle, aveva qualcuno da presentare e voleva che la famiglia al completo fosse riunita in soggiorno. Ci ritrovammo tutti e dieci davanti a lei e a Tony, il suo nuovo fidanzato. Un armadio altissimo e larghissimo, con dei muscoli da far paura. I suoi modi erano affettati e gentili, ma appena mi strinse la mano provai una sensazione di bruciore fortissima, tanto che non potei trattenere un urlo. Istintivamente mi scostai da lui. In sala calò l’imbarazzo: «Sai, Craig si comporta sempre in modo un po’ troppo strano», disse Mandy a Tony, ma in realtà si stava rivolgendo a me. Non voleva che le facessi fare brutta figura davanti al suo amore. A quanto pareva, tutti lo apprezzavano tranne me. 
Provai a parlarne con la mamma, che solitamente era la più comprensiva della famiglia, ma lei mi disse di smetterla, altrimenti Amanda si sarebbe arrabbiata. Decisi, per il momento, di non condividere i miei dubbi, ma gli angeli avevano altri piani. La sera ebbi una visione spaventosa: due energumeni stavano in piedi davanti a una donna anziana, legata a una sedia. La donna piangeva e chiedeva aiuto. Ritornai in me e pensai subito a Tony.
Era cattivo, ne ero sicuro. Dovevo fare in modo che qualcuno mi prendesse sul serio. Raccontai della visione a tutti, ma le reazioni furono sempre negative: dall’incredulità alle sgridate. Nessuno voleva che con le mie fantasie turbassi la storia d’amore di Amanda. Tony per i miei era il fidanzato perfetto, tanto che, nel giro di pochi mesi, Mandy ci fece riunire tutti per un altro annuncio: avevano intenzione di sposarsi. La casa si riempì di gioia, ma io non riuscivo a partecipare. Un’occhiata del papà diretta al mio muso lungo mi fece capire che nessuno, in quel momento, era disposto ad ascoltare i miei avvertimenti. Come al solito, io e gli angeli avremmo dovuto sbrigarcela da soli.
La cerimonia si avvicinava e i preparativi andavano avanti di gran carriera. L’unica cosa che ferveva in me, invece, era la visione dell’anziana donna legata a una sedia, che facevo con sempre maggiore frequenza e chiarezza. Ormai ero quasi sicuro, uno dei due malviventi che la teneva legata era il fidanzato di Amanda: ma come provarlo alla mia famiglia? Tony, intanto, percepiva la mia ostilità, infatti più di una volta mi aveva preso in disparte per chiedermi cosa avessi contro di lui. Più che un tentativo di avvicinarsi a me, però, sembravano delle minacce. “Lo sai che non devi metterti in mezzo agli affari degli adulti, Craig?” mi diceva fissandomi. Mi venivano i brividi quando arrivava in casa, ma non potevo parlarne con nessuno. Due sere prima del matrimonio stavamo guardando il
telegiornale insieme alla mamma e ai miei fratelli. C’era stata una rapina a Greenwich, a cinque minuti da casa nostra. La padrona di casa, un’anziana donna, era in fin di vita a causa delle violenze subite. Mi sentii bruciare dentro e a quel punto ebbi la certezza: Tony era coinvolto in quella brutta storia.
Arrivò il giorno della cerimonia: tutti erano nervosi e felici allo stesso tempo. Io avevo passato la notte insonne per via della solita visione, che era andata avanti per ore e ore. Dovevo trovare il coraggio di parlare, Mandy non poteva sposare un uomo del genere. Prima che iniziasse la funzione, andai insieme a mio fratello Chris a comprare delle caramelle in un negozio vicino alla chiesa. Lì dentro mi sentii come attirato dal giornale di quartiere. Lo comprai e aprii meccanicamente alla pagina della cronaca, dove si parlava ancora dell’aggressione di Greenwich. C’era la foto dell’anziana rapinata e picchiata: era la donna delle mie visioni! Cercai in tutti i modi di avvertire Mandy, o almeno i miei genitori, ma la mia famiglia aveva creato una sorta di servizio d’ordine per evitare che interrompessi la funzione. 
Tutto andò liscio, infatti. La cerimonia, il pranzo e la festa filarono via come l’olio, tranne per me, che ogni tanto sentivo lo sguardo annebbiato dall’alcol di Tony che mi fissava con ostilità. Sapeva che ero una minaccia per lui. E io ero certo che quel matrimonio sarebbe finito in lacrime.

Tutto andò bene fino a qualche sera dopo, quando la polizia bussò alla nostra porta. Tony era finito in carcere in quanto sospettato della rapina e dell’omicidio di Greenwich. Amanda, sconvolta, era ancora in commissariato con lui. Tutto questo io e i miei fratelli lo sentimmo origliando dal piano superiore, dove ci avevano mandato i miei all’arrivo della polizia. Approfittai dello stupore degli altri per scappare e scendere al piano terra: “Io lo sapevo, è lui l’assassino!” gridai scendendo le scale. I miei mi rimproverarono e cercarono di mandarmi di nuovo in camera, ma io mi dibattei e cominciai a urlare i dettagli delle mie visioni per far capire che sapevo di cosa stavo parlando. Gli agenti mi ascoltarono. Quello che stavo raccontando combaciava con la scena del crimine e aggiungeva dettagli necessari alle indagini. Se ne andarono con le informazioni che gli avevo dato e mi lasciarono solo coi miei genitori, arrabbiati con me e tristi per Amanda. Ancora una volta avevo fatto la cosa sbagliata, o almeno così sembrava. Qualche giorno dopo, però, ebbi la conferma che gli angeli ci avevano visto giusto. Tony venne arrestato per la rapina e per il tentato omicidio. Le prove a suo carico erano schiaccianti. Amanda tornò a casa insieme ai miei, il suo matrimonio era durato solo qualche giorno ed era distrutta. Come avevo previsto, varcò la soglia di casa in lacrime. Volevo abbracciarla e consolarla, ma sapevo che quello non era il momento, ci volle del tempo perché la mia famiglia potesse tornare alla normalità. Tutti serbavano del rancore, forse inconscio, nei miei confronti. Credo che i miei fratelli si chiedessero perché dovevo sempre fare il guastafeste, e forse anche mamma e papà si ritrovavano a farsi delle domande su di me che li facevano soffrire. Ma questi sono pensieri che facevo allora.


Craig Warwick

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I miei libri ... Craig warwick

Ho visto un angelo

Craig Warwick:"ho visto un angelo darti un bacio sulla fronte"

...«Piacere, Luigi. Sei tu che parli con gli angeli, vero? E senti, me lo vuoi fare un piacere? Chiama San Paolo, e senti un po’ se ci può mandare un bell’angelo allo stadio suo per il nostro povero Napoli!».
Insomma per quella sera fui il suo bersaglio preferito. Questo naturalmente quando non era fuori, a fare avanti e indietro nella piazzetta del ristorante, con l’orecchio attaccato al Blackberry per risolvere questioni di lavoro. «Finire un discorso con Gigi è una cosa impossibile», mi disse Salvatore a tavola, dopo l’ennesima telefonata ricevuta dall’amico. «Quello lavora pure mentre dorme.» Era un uomo pieno di energia, tanto da chiamare a fine cena “mummie” i miei ospiti, che avevano appena declinato la sua proposta di una passeggiata. «Qua ci sta troppo casino», diceva. «Craig, almeno tu, che sei giovane! Vieni che ti porto un po’ in giro io, altro che questi qui» e mi prese sottobraccio, e mi fece entrare in auto. «Ah, ora ti porto giù alla litoranea, vedrai che pace! Ci facciamo una bella camminata, respiriamo un poco di aria buona e se abbiamo voglia ci prendiamo pure un gelato, eh?
Golfo di Napoli
Che gelato mangiano gli angeli, nocciola santità e panna? Ah, ah, ah! Comunque, quello che prendono loro lo prendo pure io.» Oramai ero rassegnato a quello scherzo continuo, Luigi era un buono: tanto valeva divertirsi e passare una bella serata. «Anzi no, mò che mi ci fai pensare ti devo raccontare una barzelletta troppo bella, tanto tu non è che ti offendi?»
E senza aspettare la mia risposta attaccò: «Allora, ci stanno gli angeli e i diavoli nel Purgatorio che stanno facendo una partita di pallone. Il mister degli angeli è Gesù e quello dei diavoli è Lucifero. Mi segui? Allora, questa partita è noiosa assai, giocano tutti mosci, è tutto un rimpallo e nessuno mette mai in porta. Insomma, come ti devo dire, manca fantasia, del resto questi non è che tengono un campionato vero e proprio e allora gli manca un po’ lo stimolo.» Il telefono di Luigi squillò per l’ennesima volta: un’altra telefonata di lavoro. Ne approfittai per ammirare un po’ il paesaggio: le stradine trafficate stavano lasciando il passo al litorale, e il vento che entrava dal finestrino profumava piacevolmente di salsedine. Tornai a guardare verso Luigi, ancora occupato al telefono, e notai immediatamente una forte luce alle sue spalle. Un angelo si era avvicinato a lui, e quando si chinò a baciarlo sulla fronte vidi che si trattava di una donna. Prima di dirglielo aspettai però che fermasse la macchina: questo non è il genere di rivelazioni da fare a qualcuno che si trovi alla guida.
Una volta scesi dall’auto, ci incamminammo per il lungomare del paese, godendoci la dolce brezza e il fantastico panorama del Golfo di Napoli. «Mò è tutto scuro e non si vede niente, ma domani fattici riportare, mi raccomando, che se è una bella giornata da qua si vedono le isole. Là a sinistra, verso Sorrento, c’è Capri; a destra invece, verso Napoli, c’è Ischia.» Mi godevo il silenzio interrotto solo dal rumore delle onde, le mille luci del mare illuminato dalla luna, la bellezza selvaggia della sabbia lavica, nera come la notte con cui si confondeva. «E insomma, non t’ho finito di raccontare la barzelletta!» ricordò Luigi. «Allora, la partita andava male, senonché a un certo punto…» «Salvatore» lo interruppi, «devo dirti una cosa. 
Craig Warwick, l'uomo che parla con gli angeli.
Mentre eravamo in macchina, ho visto un angelo avvicinarsi a te e darti un bacio sulla fronte». Non mi illudevo di convincerlo al primo colpo. E infatti Luigi si lasciò andare a una bella risata e mi disse «Come no, Craig, come no. Ma perlomeno era una bella donna? No, perché io sono fidanzato, eh, non mi espongo se non ne vale la pena…» L’angelo si distingueva sempre meglio, ora riuscivo anche a vedere chiaramente i tratti del volto ed ero certo che la somiglianza con Luigi non fosse un caso: doveva essere sua sorella o sua madre, ma poiché gli angeli non hanno età non era facile capirlo. Fu il gesto a darmi l’indizio giusto. «Ha i capelli neri raccolti in una crocchia e gli occhi verdi», dissi, e continuai: «Indossa uno scialle per coprirsi la schiena perché dice che l’aria di mare le fa venire i brividi. Luigi, è tua madre, vero?» Lo vidi serrare i pugni e stringere le mascelle. Mi guardava con gli occhi spalancati, come se avesse paura anche solo di parlare, lui che era così chiac- chierone. Girò le spalle di colpo e sferrò un pugno al muretto. Aveva ancora la faccia rivolta verso il mare quando cominciò a parlare. «Nemmeno d’estate riusciva a liberarsi di quello scialle.» Tornò a guardarmi: aveva gli occhi pieni di lacrime. L’angelo era di nuovo lì, e gli accarezzava dolcemente un braccio. «Che ti ha detto?» Sembrava quasi arrabbiato, anzi addirittura furioso, ma sapevo che non si trattava di vera ira: camminare nervosamente, dare un calcio a una bottiglia lasciata per strada, quello era il suo modo di reagire a una notizia così scioccante. «Calmati, Luigi. Tua madre dice che non c’è bisogno di stare male, che lei è in pace e devi smetterla di tormentarti. Ha sempre saputo che le volevi bene, di questo non devi dubitare mai.» Si prese la testa tra le mani e sospirò forte: le lacrime gli scivolavano lungo le guance. Un uomo apparentemente fortissimo, amato e rispettato da tutti, si abbandonava per la prima volta da chissà quanto tempo a un pianto liberatorio. «Non è vero… dice così perché mi vuole bene, e non mi vuole vedere soffrire, ma io lo so di essermi comportato male. Ci passavo poco e niente da casa sua, anche se abitavamo sullo stesso pianerottolo. Forse anche per quello, mi dicevo, se ha bisogno di qualcosa mi chiama, ma mia mamma era forte, non voleva dare disturbo a nessuno, anzi quando parlava di me alla gente dovevi vedere, che orgoglio! Il figliolo che lavora come un asino e raggiunge la posizione importante, quando si è ammalata è stato ancora peggio, non sopportavo di vederla così, e quindi ci andavo ancora di meno. E la cosa brutta era che lo sapevo, che dovevo starle più vicino. Ma sai come vanno queste cose, dall’azienda mi chiamano in continuazione, non vedevo neppure la mia fidanzata, lo so, sono tutte scuse. Mi sento un verme.»
Era inconsolabile, provai a ripetergli che sua madre non ce l’aveva con lui, ma non servì a molto. Continuò: «Aveva un solo desiderio. Era devota a Padre Pio, e mi chiedeva di accompagnarla a San Giovanni Rotondo. Io ce la volevo portare, ma poi dovevo rimandare ogni volta per un impegno diverso. E lei zitta, non mi faceva pesare mai niente, ci credeva ogni volta che le dicevo mamma, ti prometto che la settimana prossima, il mese prossimo…» Continuava a gesticolare, era tutto rosso in viso. «Luigi, ora ascoltami» lo interruppi, «te lo ripeto: tua madre sta bene dove si trova e non dà nessun peso a quella promessa che non sei riuscito a mantenere.» Bisognerebbe solo imparare da esseri tanto più saggi di noi: come gli angeli, non dovremmo lasciarci travolgere dalle minuzie, ma pensare a ciò che è veramente importante. Ma Luigi era stanco e affranto, e aveva solo voglia di tornare a casa. Il senso di colpa è difficile da sconfiggere, anche se non serve a nulla. Macerarsi pensando agli errori commessi ieri è inutile, ma anche molto umano: a chi non è capitato? A volte vorremmo riavvolgere il tempo della nostra vita come se fosse il nastro di un film e una volta tornati in quel momento cruciale cambiare qual piccolo particolare a cui abbiamo pensato così intensamente da sapere alla perfezione cosa avremmo dovuto fare. E da lì tutta la nostra vita, ci sembra, potrebbe ripartire più giusta, più bella, più felice. Ma purtroppo la vita è una sola e l’unico modo che abbiamo di riparare i torti del passato è fare tesoro di quegli errori per cercare di non commetterli di nuovo, guardando in avanti anziché indietro. Certo, non è facile: i rimpianti sono incancellabili. Eppure basterebbe vederli da una prospettiva diversa, considerandoli una possibilità per imparare e non una fonte costante di rimprovero.
Padre Pio
Camminammo per qualche minuto in silenzio, forzarlo a parlare sarebbe stato dannoso. Con un po’ di buona fortuna, nei giorni successivi avrebbe ripensato a quanto accaduto e piano piano avrebbe trovato in sè la forza di perdonarsi. Ci avviammo verso la macchina, parcheggiata sull’altro lato della strada rispetto al mare, ma alle strisce ci fermammo per lasciar passare un grande tir appena sbucato da un ponte. Lo vedemmo arrivare, e i nostri sguardi furono catturati da qualcosa che lasciò entrambi a bocca aperta: la fiancata era interamente occupata da un enorme ritratto di Padre Pio.
L’autotrasportatore doveva essergli molto devoto, questo era sicuro. Rallentando per via della curva, ci mostrò perfettamente l’immagine del viso severo ma compassionevole del frate.
Restammo immobili a guardarlo sparire lungo la litoranea. Sembrava la scena di un film: in quella splendida notte estiva e con lo sfondo del mare, quell’immagine acquistava ancora più potenza. Neanch’io riuscivo a crederci, eppure so che gli angeli sono capaci di gesti strabilianti. La madre di Luigi aveva trovato un modo spettacolare per mandare un messaggio al figlio: sapeva che quello era l’unico modo per convincerlo che il dolore, il rimpianto, la tristezza non solo erano inutili, ma rischiavano di rovinargli la vita. Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, ancora increduli. Poi gli dissi: «Be’, cos’altro vuoi per liberarti dal rimorso? Non hai portato tua mamma da Padre Pio e dunque lei ha trovato un modo per far arrivare Padre Pio da te». Luigi mi guardò, e finalmente nel suo sguardo tornò a balenare lo spirito bonario che lo contraddistingueva. «Ti ho preso in giro tutta la sera. Mi devi scusare. Ti posso offrire un gelato? Nocciola, santità e panna?» In macchina restammo a lungo in silenzio. Dalla dolcezza negli occhi di Luigi intuivo che stava ripensando a sua madre, ai teneri ricordi che il suo messaggio aveva risvegliato. Il telefono squillò ancora una volta: lo guardò illuminarsi e vibrare, ma non rispose. «Ma insomma, sono le undici di sera, cosa pensano, che non abbia una vita? Ho di meglio da fare che riempirmi la testa di problemi. Anzi, m’ero scordato, devo finire di raccontarti la barzelletta! Allora, a che eravamo?» Scoppiai a ridere. «Dicevi che la partita era noiosa», risposi. «Ah, sì, giusto! Non si vedeva un goal. Senonchè a un certo punto, allo scadere del secondo tempo, San Gennaro stoppa di petto e passa la palla a San Filippo, il quale si fa prendere dall’entusiasmo e inizia a dribblare tutti gli avversari, arrivando solo in area. Di fronte a lui, un diavolaccio prova a fermarlo con tutti i mezzi possibili, ti dico, fallosissimo, ma San Filippo oramai è lanciato, non lo ferma più nessuno, con un gioco incredibile di gambe dribbla anche quello, prende la mira, tira e… PALO!! ‘Mannaggia a…’ comincia a urlare disperato, ma Gesù subito lo interrompe: ‘FILÌ!! E INSOMMA!’ e gli si avvicina arrabbiatissimo, con fare minaccioso. ‘Uh, Gesù, scusami, perdonami!! Ti giuro, non stavo per bestemmiare, mi devi scusare…’ gli fa san Filippo. E Gesù: ‘Ma che dici! Filì, ma tu hai capito che goal ti sei mangiato???’» Scoppiò nella sua risata piena e allegra: Luigi era tornato quello di sempre, l’uomo amabile che sua madre aveva sempre compreso e al quale sarebbe stata sempre vicino.